Il Perugia che fece leggenda

1978-1979. Il Perugia partì da temibile provinciale, arrivò ad un passo dal sogno conquistando per la prima volta il titolo di squadra imbattuta. Da Sollier a Renato Curi, al calcio olandese di Castagner, il cammino nobile e l'epopea di una squadra grande.

Gli anni settanta calcistici, devono molto a Perugia. Perché è da quel cuore d’Italia che sono venute tante delle immagini pallonare del decennio di piombo, a partire da Sollier, calciatore proletario, che in maglia amaranto saluta a pugno chiuso la curva laziale di eterna fede fascista. E poi la fotografia di Renato Curi buttato a terra, lui corridore per natura, da un attacco cardiaco assassino che fermò per sempre il calciatore dai mille ruoli, uno dei più “olandesi” della piccola Ajax delineata da Castagner, allenatore di idee che trovò a Perugia il laboratorio miracoloso. Insomma, la prima mentalità di ciò che il mondo sportivo chiamerà “Perugia dei miracoli” partì dalla politica degli anni settanta, circoli fumosi che cantavano l’internazionale, atmosfera “gauche” che trovò l’apoteosi in Sollier che salutava la nord dell’Olimpico, versione addolcita dello scontro assassino fra gli estremismi di allora.

In fondo, già, quel gesto di un calciatore che veniva da una squadra umbra, quindi di provincia, segnava la definizione di una identità che stava affinandosi, e di un coraggio di esistere che già non era più il sentirsi serie B calcistica. Ma si sa, la forza deve sempre temprarsi nel dramma, e questo fu dato da Renato Curi, caduto sul lavoro nella partita contro la Juve. Quello fu il momento in cui l’Italia per la prima volta si concentrò su uno stadio nel cuore dello stivale, ancora non sapendo che quella attenzione non si sarebbe spenta con l’emozione del dramma, anzi.

Perché, poi, venne la stagione perfetta, o meglio quasi. Senza sconfitte (prima squadra nella storia) ma anche senza scudetto, a differenza del Verona venuto anni dopo che fece gli stessi miracoli ma aggiunse anche il tricolore sulle maglie. L’avrebbe meritato lo scudetto, il Perugia, anche solo per il senso della novità europea che assieme al Torino di Radice aveva saputo portare al belpaese calcistico. Solo che quell’anno venne un Milan capace di conquistarsi la stella dei dieci scudetti, e portarsi a casa qualche vittoria in più, consentita un po’ anche della buona (stella), perché nello scontro umbro si era trovato un Perugia senza Nappi e il capitano Frosio.

“con quei due quel giorno avremmo vinto, un punto in meno a loro, uno in più a noi e la storia cambiava” ripete ancora oggi Castagner. Quella fu una sfida autunnale, di un campionato in cui molte cose erano ancora da dire, ma lo stesso resta un rimpianto da legare al lunghissimo infortunio di Vannini, una pedina fondamentale dello scacchiere di Castagner, e a quello di fine stagione di capitan Frosio.

Ecco, Frosio, fu in certo senso l’emblema di quel Perugia. Frosio era brianzolo, quella brianza monzese che fra Radice, Claudio Sala e lui si propose come la terra del calcio nuovo, targato orange. Era dunque un emblema, Frosio, per la modernità che impresse al ruolo del libero, che con lui non restò pedina difensiva ma bensì una aggiunta al centrocampo ragionatore. Un libero che sapeva pensare, proporsi e manovrare. Frosio voleva fare il ciclista, sulle orme della sua terra da sempre (ora un po' meno) divisa a metà fra pedale e pallone biancoenero. Un infortunio lo porto dalla bicicletta al calcio. E in un certo senso alla storia, del calcio. Certo, la storia non si fa con i se con i ma, e neanche con le speranze perse. Ma se Vannini, con l’Inter, in autunno, non avesse finito la stagione appena iniziata, e se Frosio ad aprile non si fosse fatto male, forse quattro dei tanti pareggi si sarebbero trasformati in quelle vittorie che avrebbe voluto dire scudetto.

Così non fu. Ma lo stesso quel Perugia fu leggenda. L’anno dopo, la provinciale si montò la testa. Il presidente D’Attoma arrivò a scippare alla Juve il gioiello Paolo Rossi. Eppure un po’ l’incantesimo si era rotto. Non fece meglio, quel Perugia, che anzi cominciò a prendere la fase discendente della parabola. Poi come tutti sappiamo, il Perugia calcio cadde. Risorse, e poi ricadde. Eppure… a volte, in quel limbo meno nobile in cui lo stadio oggi è ancora rinchiuso, dei nomi risuonano ancora...

Malizia, Frosio, Nappi, Della Martira, Ceccarini, Butti, Dal Fiume, Tannini, Bagni, Speggiorin, Casarsa, e poi Cacciatori, Goretti, Tannini e Zecchini, e Castagner, e Ramaccioni. Dei nomi, quelli che fecero la storia del Perugia dei miracoli…