Da Cascia a Monteleone di Spoleto un suggestivo spettacolo della natura
Da Roccaporena si riparte alla volta di Monteleone di Spoleto risalendo lungo il fiume Corno, gli appassionati d’arte avranno la possibilità di ammirare a Cascia, presso il Museo dell’ex-convento Sant’Antonio, gli splendidi affreschi di Nicola da Siena del XV secolo, il capolavoro dell’Indivini la statua lignea di Tobia e l’Angelolo, ed infine ammirare il ciclo di affreschi sulla vita di sant’Antonio, la cui devozione è diffusa nelle campagne di tutta Italia, e particolarmente dell’Umbria.

Lungo la strada che porta a Monteleone lungo il Corno ci si imbatte in un suggestivo spettacolo i pioppi cipressini intorno ad Ocosce, dove alcuni toponimi sono tutto un programma: Primavera, il Concone e Casale Lago, gli ultimi due a segnalare l’ampia depressione occupata da prati umidi, spesso suggestivamente allagati.
L’altopiano di Ocosce si allarga fino ad Atino ed al ponte delle ferriere di Monteleone di Spoleto, è un luogo che, oltre ad essere interessante dal punto di vista ambientale, è stato intensamente abitato sin dall’epoca preistorica e per questo conserva numerosi reperti delle passate civiltà che si sono succedute nei secoli in questa zona, tanto che l’intera area è stata individuata per la costituzione di un parco archeologico.
In particolari zone quali Casali Chiuse, Lago e Castellano sono ancora visibili delle strutture di terrazzamento e fortificazione, probabilmente di epoca romana ma forse anche precedenti, che un tempo coprivano e difendevano la parte dell’altopiano che si affaccia sulla Valle del Corno, e conservano in loco grandi blocchi di pietra usati in edifici di culto.
L’altopiano di Ocosce un caso esemplare di paesaggio della Valnerina che mantiene intatto la sua destinazione agricola testimoniata dalla cura dei campi, dalla presenza diffusa di querce lungo le strade secondarie e dal piccolo laghetto. Da qui si può avere una visione dall’alto dello scoglio di Roccaporena che ne fa comprendere la natura di Montagna sacra che svetta nella stretta valle di Roccaporena.
In questa zona a cavallo tra Cascia e Monteleone di Spoleto, tra 700 e 900 metri di quota, sono due, in particolare, i segni del paesaggio antico ad esser ancora visibili: le “piantate” di viti maritate all’albero, più spesso l’Acero campestre, e le piantagioni di mandorli. Le vigne e i loro “tutori”, oggi ridotti a pochi residui, una volta presenti in tutto il Casciano comparivano ad esempio sul costone tra S. Giorgio e Logna, su quello che sovrasta il piano di Fogliano e che culmina sui colli giustamente chiamati Capo le Vigne, e tra Aliena e Colle d’Avendita, sempre su esposizioni meridionali e fino a sfiorare i 1000 metri di altitudine.
La diversificazione nell’uso del suolo è sempre stata garanzia di diversità biologica, riepilogando: boschi e boschetti, siepi e filari, campi e prati, pascoli e piantate di aceri o mandorli, alberi isolati, muretti a secco e macere, centri abitati e stalle, sorgenti e fossi, affioramenti rocciosi e ruderi, e chi più ne ha più ne metta, hanno contribuito a creare un habitat unico in Umbria sugli altipiani del casciano.
Dove per questi “motivi” la fauna non può che essere ricca, forse meno di un tempo, ma sempre ricca in un paesaggio che per tanti aspetti sembra fermo a 50 anni fa. Non più le starne italiche, ma comunque le quaglie e le lepri, l’Istrice, il Gatto selvatico, il Cinghiale e ormai anche il Capriolo, il Gheppio, onnipresente come la Poiana, e poi lo Sparviere, il Lodolaio, e ogni tanto anche l’Aquila reale.
E, come si conviene, un gran numero di uccelli, più piccoli dei rapaci, che sembrano fatti apposta per denunciare l’esistenza dei mille siti, luoghi, nicchie e situazioni particolari: il Saltimpalo nei campi e nei prati, l’Averla piccola tra le spine di una rosa selvatica, il Passero solitario sull’antica torre, il Balestruccio nei paesi, la Rondine nelle stalle, il Culbianco sui pascoli rocciosi, l’Upupa tra gli sparuti mandorli e il suo nido nei muretti a secco, lo Zigolo nero lungo le siepi, il Picchio verde (anche) tra le grandi querce dei filari, il Torcicollo nelle vecchie piantate, il Luì bianco ai margini dei boschi, l’Usignolo tra i cespugli vicino all’acqua.
Se qualcosa si decidesse di fare per tutelare veramente queste ed altre specie, per assicurare loro un futuro, altro non dovrebbe essere che conservare, in questo caso, ciò che l’uomo ha disegnato in secoli e secoli sul volto di questo territorio.